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Pazza d'amore

Il mio biberon è stato il suo biberon.
La sua culla è stata la mia culla.
La mia bambola è stata la sua bambola.
Il suo fucile è stato il mio fucile.
Il mio banco è stato il suo banco.
Abbiamo condiviso tutto, da quanto siamo nati, ad una settimana l’una dall’altro, e abbiamo avanzato nei sentieri della vita tenendoci per mano, imparando insieme ad andar carponi, ad alzarci, a camminare, a correre, a balbettare, a parlare ed insieme abbiamo imparato ad amarci.
Un amore travolgente, passionale, travagliato, ostacolato dalle nostre madri che ci avevano sempre guardati come fratelli e mai come cugini.
Il nostro amore ha lottato ed ha vinto e finalmente abbiamo incominciato serenamente a sognare, progettare la nostra vita di coppia.
Sogni e progetti si sono interrotti quando lui è partito militare per l’Eritrea.
Penoso è stato il distacco.
Amara la lontananza.
Lettere arrivavano e partivano senza sosta, l’unico filo che ci ha tenuto saldamente uniti fino a quando nessuna lettera è più arrivata e nessuna lettera è più partita.
Parlare di Alfonso in famiglia era tabù ed io non ho più saputo niente di lui. La guerra era finita da un pezzo, tutti i militari erano rientrati ma lui no. Avevo smesso di piangere ma non di pensare a lui con un dolore che martirizzava.
Il mio Alfonso!  
La notizia del suo matrimonio con una eritrea fu una doccia fredda.
Imprecai e maledissi lui, la sua compagna e la loro futura prole.
Mi vestii di nero e non rivolsi più la parola a nessuno lasciando che il tarlo della gelosia rodesse il mio cuore e il mio cervello.
Passavo ore a fantasticare le catastrofi  più assurde che si abbattevano sul mio Alfonso e ridevo, ridevo per quella sofferenza, quel dolore che la mia mente creava per lui.
Sophia Loren - La ciociara -
Il mio Alfonso!
La notizia della sua morte portò grande scompiglio nella mia famiglia.
Paragonai il mio odio, la mia maledizione alle lucenti forbici di Atropo, mi sentii responsabile della sua morte e, senza pietà, uccisi il mio cuore.
Zaji e la sua bionda Aina giunsero in Italia in un caldo pomeriggio di agosto.
Negli innocenti occhi di Aina lessi dolore, paura, smarrimento e il senso di colpa avanzò  strisciando verso di me e mi avvolse con le sue spire e stritolò l’odio, il rancore che avevo covato per anni dentro di me.
Chiesi perdono al mio Alfonso e divenni la sorella di Zaji e la zia di Aina.
Il mio amore per loro non aveva limiti, era travolgente, passionale, servile e ancora una volta ostacolato.
Mi trovo in questa stanzetta che non conosco, seduta su di un duro giaciglio e scrivo ora dopo ora, giorno dopo giorno, di quest’amore che mi brucia dentro, di questo mio grande amore che mi è proibito elargire, finché una ragazza con un camice bianco non viene a prendermi per condurmi a cena.