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2 novembre

Oggi, con animo più sereno, riesco ad andare indietro nel tempo, a quando le parole morte, camposanto, crisantemi, tombe, non portavano mestizia nel mio cuore.


2 novembre: non importa quali siano le previsioni del tempo, potrebbe esserci anche il diluvio universale, la mamma, in punti di piedi, alle sei del mattino mi sveglia, mi aiuta a vestirmi, mi prepara un ciotolone con latte appena bollito, pane e tanto zucchero e poi, con mille raccomandazioni, mi accompagna al primo piano dove mi attende la nonna.

La nonna la ricordo sempre allo stesso modo. Vestita di nero, abito lungo fino alle caviglie e quando esce, scialle di seta, sempre nero, in testa. E' molto vanitosa la mia nonna, non esce di casa se lo scialle non cade sulle spalle con le stesse graziose pieghe di quello della Madonna che dall'alto del suo lettone di ferro la guarda mentre si veste.


Prendiamo dal tavolino del salottino, all'ingresso, i fascioni di crisantemi gialli e bianche  e il sacchetto di stoffa pieno di lumini di tutte le misure e ci  avviamo alla fermata del bus che è ancora buio.


Per strada c'è una vera processione di gruppetti silenziosi, carichi di fiori e lumini.


Quando arriva il bus a stento entriamo tutti.


Una volta nella Cappella di famiglia aiuto la nonna a sistemare fiori e lumini e quando è tutto ordinato e pulito lei siede e prega per quei figlioli che Iddio ha voluto accanto a Sé, mentre io, ansiosa, attendo l'arrivo di mia cugina.


"Ah, eccoti finalmente! Ciao" "Ciao" e iniziamo i nostri giri.


Andiamo nella parte più moderna del cimitero dove tutte le tombe sono lustrate a nuovo, traboccanti di fiori, illuminate dalla tremula luce di tanti ceri. Ci soffermiamo presso quelle più recenti per ascoltare le donne che, con pianti dirotti e voce sempre più rauca, raccontano della vita e della morte del loro caro estinto; il pianto e il racconto, sempre lo stesso, ricomincia non appena una nuova persona si avvicina.


Il nostro girovagare dura ore.


E non manchiamo di andare al cimitero militare, file di croci senza fiori e senza luci. Leggiamo ad uno ad uno i nomi incisi e inventiamo per ognuno una vita di affetti, di paure, di speranze, di sofferenze, di solitudine e di morte.
Quando il giorno sta per finire raggiungiamo la nonna con la testa piena di tante storie vissute e non vissute.


Pigiati l'uno sull'altro, attenti solo che i fiori non si spampanino, si comincia a parlare di malattie, disgrazie e morte; qualcuno tira su col naso le sue lacrime, qualche altro bisbiglia "pace alla sua anima".

Ascolto, curiosa, ma non riesco a partecipare al dolore che mi circonda. La morte per me è solo una parola e questo è solo un giorno di festa.

La prima tappa è al cimitero vecchio, poco frequentato, misero di fiori e di lucine.
Molte tombe sono rotte o addirittura scoperchiate e noi curiosiamo speranzose di vedere qualche teschio ma pronte ad allontanarci poi di corsa, col cuore in gola, se qualcosa si muove.
Ci fermiamo a leggere, con molta difficoltà perché le scritte sono sbiadite o quasi cancellate, le date e gli epitaffi che raccontano, spesso in rima la vita del defunto.
Lasciamo qualche fiore qua e là fino ad esaurire il mazzetto di crisantemi che ci siamo portate dietro.

Abbiamo le nostre tombe preferite che ogni anno non manchiamo di visitare e che tanto eccitano la nostra fantasia: la fanciulla, sposa felice, morta nel dare alla luce il suo primo bambino; il giovane travolto da un cavallo imbizzarrito; il pescatore inghiottito con la sua barca da alti marosi ed il cui corpo venne trovato, quasi del tutto scarnito, dopo vari giorni; il piccolo volato in cielo, angelo tra gli angeli; il padre di famiglia soppresso da una lama di coltello.